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Eretto nella seconda metà
del XV secolo da Ferdinando I° d’Aragona, il castello di Pizzo ha due
torrioni cilindrici angolari, dei quali la torre grande, detta torre
mastra, è di origine angioina (1380 circa).
Il massiccio corpo
quadrangolare, con casematte e pianterreni, che scende perpendicolare
sulla rupe dalla parte del mare, eradall’altra parte circondato da un
fossato, sul quale il ponte levatoio e la porta, situati fra una delle
torri rotonde, dalla parte di occidente, e la parte angolata, ne
consentivano l’accesso. La fortezza era dotata di camminamenti che
portavano fuori città ed era stata costruita allo scopo di difendere la
costa dai barbareschi e “ad manutenendos cives in fide”.
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Quando la “terra del Pizzo”
passò dalla casa d’Aragona a quella dei Sanseverino ed a questi
confiscata nel 1504 per delitto di fellonia, fu data a Don Diego de
Mendoza, generale delle Galee; e da lui, per diritto ereditario di
successione, detti beni passarono alla Casa dei Silva, alla quale
apparteneva il Duca dell’Infantado, che li conservò con tutti i diritti
e privilegi annessi fino al 1806, quando - per Decreto del Re Giuseppe
Napoleone - fu abolita la feudalità con tutte le sue attribuzioni e
prerogative.
Dopo la Legge eversiva della
Feudalità, il castello sollevo spesso questioni di diritto di proprietà
fra il Comune ed il genio Militare. Fu occupato dal Governo, che lo
adibì a caserma e a prigione.
Passò poi al Comune di
Pizzo, cui lo cedette il Governo Italiano, conservando solamente la
parte che - con Decreto del 3 giugno 1892 - fu dichiarata “Monumento
Nazionale”.
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Fu danneggiato dal terremoto
del 1783, che ne distrusse le camere superiori; esse furono riedificate
nel 1790 a cura e spese dell’Amministrazione Ducale.
Oggi, alcune delle sue
strutture sono andate perdute; mentre, per il resto, la costruzione
conserva il suo aspetto originario.
Nelle sue sale, si svolse
l’avvenimento che - come dice A.Dumas - fece divenire Pizzo “una delle
stazioni omeriche dell’Iliade napoleonica”.
Gioacchino MURAT, re di
napoli e cognato di napoleone Bonaparte, in un estremo tentativo di
riconquistare il regno di Napoli, sbarcò alla marina di Pizzo domenica 8
ottobre 1815, tentando di far sollevare la popolazione contro Ferdinando
IV di Borbone.
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Ma il tentativo non riuscì.
Gioacchino e il suo piccolo drappello furono sopraffatti e rinchiusi nel
castello, dove, 5 giorni dopo, a seguito di un processo sommario, il re
venne condannato a morte dalla Commissione Militare disposta per forza di
legge dal Governo Borbonico. Egli affrontò la prigionia ed il giudizio,
cui venne tanto precipitosamente sottoposto, con orgoglio e grande
dignità, che conservò fino all’ultimo, onorando ampiamente la sua fama di
uomo coraggioso e di straordinario valore sui campi di battaglia. Colui
che era stato l’eroe di Abukir e della Moscova, affrontò impavido la
morte, che gli venne data per fucilazione nel vaglio del castello,
mezz’ora dopo la condanna.
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Rimane, di quegli ultimi
istanti, la nobilissima lettera da lui scritta alla moglie e il ricordo
della fierezza con cui volle comandare il plotone di esecuzione. E
poiché i fucili dei soldati, intimiditi e commossi, lo avevano la prima
volta risparmiato, dovette ordinare il fuoco per ben due volte, prima di
cadere, fulminato da sette proiettili.
Il suo corpo, trasportato
nella chiesa Matrice di S.Giorgio Martire, fu sepolto in una fossa
comune, al centro della chiesa, dove una pietra tombale ricorda in
perpetuo il nome e la memoria d’un Re, che, come scrisse in un’epigrafe
il Conte di Mosbourg, “seppe vincere, seppe regnare, seppe morire”.
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